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Mafia Capitale dei silenzi, clan cresciuti all’ombra del negazionismo

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La mafia a Roma non esiste. Meglio parlare di “lotta tra piccole bande per il territorio“, diceva il prefetto Pecoraro. “Sono titoli diffamatori” diceva l’ex sindaco Alemanno, mentre al Sunday Times nel 2008, dichiarava la sua priorità del suo mandato: “Nel sud dell’Italia il problema è la mafia. A Roma il problema è l’immigrazione“. Fino a ieri si è parlato di scontri tra gang, di casi isolati, di “rischio infiltrazioni” o di “emergenza criminalità” quando nel 2011 si faceva la conta dei morti ammazzati nelle strade della Capitale. Ovviamente era la “mala” e non la mafia.

Moltissimi sono caduti nella trappola del negazionismo. Ogni volta che gli enti locali hanno sottovalutato, ogni volta che i politici hanno fatto finta di non vedere, ogni volta che società civile e media hanno abbassato la guardia. Le mafie intanto si sono impadronite di una città. Un porto di clan, che fa gola a troppi, in cui c’è spazio per tutti.

Da ieri in questa città è cambiato tutto. Ed è servito, come al solito, un terremoto politico-giudiziario per reinterpretare il reiterato negazionismo e gli ultimi anni di vita istituzionale della città. La maxi-inchiesta “Mondo di mezzo” della procura coordinata da Giuseppe Pignatone è solo all’inizio, ma il quadro inquietante che emerge non lascia spazio ad interpretazioni: Roma da tempo è teatro di un sodalizio mafioso che, trasversalmente, mette insieme uomini d’onore, pezzi corrotti delle istituzioni e della politica,​ manager e esponenti della destra neofascista​. Uno scenario che allarma perché descrive un vero e proprio sistema di ​salde alleanze nel tessuto imprenditoriale, istituzionale e politico della città. Eppure sono stati molti i segnali inascoltati dalle istituzioni in questi anni, che abbiamo denunciato dentro e fuori il Parlamento, grazie al lavoro di inchiesta dell’associazione antimafie daSud, di cui faccio parte. Bastava mettere in fila i fatti di cronaca e ricostruire gli affari e le collusioni delle mafie nella Capitale. Dossier che abbiamo consegnato nelle mani delle istituzioni: dal focus #Romacittàdimafie all’ebook “Roma tagliata male” sul rapporto tra droga e mafie in città, dai racconti delle periferie romane a “Mammamafia” sul welfare parallelo della criminalità organizzata.

“Mondo di mezzo” è destinata a segnare nelle prossime settimane la vita politica e istituzionale di Roma. Quello che fa davvero paura di questa organizzazione è la trasversalità, perché coinvolge allo stesso modo referenti politici di destra e di sinistra. Nelle 1200 pagine di ordinanza spiccano i nomi di rappresentanti istituzionali del Pdl, del tifo organizzato e della destra eversiva, mescolati con la nuova classe dirigente degli under 40 del Partito democratico romano ed esponenti del terzo settore.

La “mafia capitale”, ribattezzata così dalla procura di Roma, è una robusta e poliedrica holding. Non è l’unica attiva nella Capitale ma è sicuramente quella che che ha potuto contare su figure apicali dell’amministrazione capitolina dal 2008 al 2013 e delle partecipate pubbliche come l’Ente Eur e l’Ama. Il sistema Carminati, come una grande azienda diversifica i suoi settori e i suoi affarti, puntando sui nuovi business come l’accoglienza degli immigrati e la gestione dei campi nomadi. Lo suggeriscono gli arresti di Luca Odevaine che, appartenente al tavolo di Coordinamento nazionale sull’accoglienza per i richiedenti e titolari di protezione internazionale e al contempo esperto del presidente del cda per il Consorzio “Calatino Terra d’Accoglienza” (ente che soprintende alla gestione del C.A.R.A. di Mineo), ha orientato le scelte del tavolo per l’assegnazione dei fondi a strutture del terzo settore gestite da uomini dell’organizzazione. E quello di Salvatore Buzzi, numero uno della cooperativa “29 giugno”, che durante una intercettazione domanda al suo interlocutore: “Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno”. Sta qui il salto di livello delle mafie che denunciamo da anni: rendere oro colato anche i servizi del terzo settore. Il business dell’accoglienza è da sempre un piatto troppo ghiotto per le mafie, su cui costruiscono welfare e consenso: la gestione dei flussi dei migranti, la creazione ad arte delle emergenze, l’assegnazione degli appalti e il pullulare di nuovi centri per migranti. Mafia capitale riesce a deviare l’assegnazione di fondi pubblici per rifinanziare la gestione dei campi nomadi, la pulizia delle aree verdi, le risorse per i Minori proveniente dall’emergenza Nord Africa, i fondi per le strutture riservate agli stranieri richiedenti asilo e ai minori non accompagnati. Tutti settori in cui operano le società cooperative di Salvatore Buzzi. Non era strano che la cooperativa 29 giugno vincesse sistematicamente qualsiasi bando? Nessuno a livello istituzionale si è fatto carico delle denunce che arrivavano dal giornalismo e dal terzo settore romano. Anche in questo caso si è aspettato che arrivasse prima la magistratura. Un atteggiamento scientifico che nasconde anche la complicità silente di altri pezzi che sicuramente saranno coinvolti nel prosieguo dell’inchiesta “Mondo di mezzo”. Intanto oggi chi si occuperà dei lavoratori e delle lavoratrici delle cooperative sociali coinvolte? Non è possibile che la politica non dia una risposta a questa domanda.

La magistratura ha fatto e sta facendo la sua parte, ma sta alla politica, alle istituzioni, ai cittadini fare la propria. Oggi l’urgenza è quella di approfondire il welfare parallelo delle mafie, che si vede ad occhio nudo a nelle città italiane. La lista dei servizi che offrono i clan è infinita e sta dentro un sistema economico molto efficiente che cavalca e alimenta allo stesso tempo la crisi: disoccupati, dirigenti, imprenditori, professionisti, avvocati, politici; tutti in fila, come negli uffici di collocamento. La merce barattata sono diritti, scambiati per favori personali da ripagare ai clan. Una riflessione che bisogna sganciare dalla geografia e dagli stereotipi (il Sud povero vs il Nord ricco), perché si gioca esclusivamente sul piano della politica: tutte le volte che lo Stato e le istituzioni fanno un passo indietro o lasciano degli spazi vuoti, le mafie avanzano, colmano e creano consenso sociale.

Grazie a “Mondo di mezzo” e all’intelligenza investigativa del procuratore Giuseppe Pignatone, dell’aggiunto Michele Prestipino e dei pm della Dda Giuseppe Cascini, Paolo Ielo e Luca Tescaroli, da oggi possiamo lasciarci alle spalle le “infiltrazioni” e i “romanzi criminali”. Ma è assurdo che siano passati ben 23 anni dalla prima denuncia di Gerardo Chiaromonte in commissione antimafia, quando raccontava che le organizzazioni criminali disponevano già nel 1991 una “imponente liquidità” e la capacità di “penetrare nel mondo economico modificandone i vecchi assetti”.

via Huffington Post