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Ostia ha bisogno di tempo e domani è un altro giorno

OSTIA

Un giornalista è stato picchiato a Ostia. È stato picchiato da un esponente della famiglia Spada e, di conseguenza, sabato c’è stata una manifestazione con l’obiettivo di affermare che Ostia è contro la mafia. Una semplificazione brutale se volete, ma questo è.

Da dove iniziare per capire quello che sta succedendo?

Innanzitutto dalla circostanza – grave – che l’opinione pubblica e i media scoprono quasi per la prima volta che c’è un pezzo di cittadinanza che vive sequestrata da anni all’interno della propria casa soltanto dopo quella capocciata. E allora è utile ribadirlo: quella violenza così naturale e ostentata è frutto di allenamento quotidiano contro gli abitanti di quel pezzo di città, quel pezzo di Capitale del nostro Paese. Eppure di quel quotidiano non interessa niente a nessuno.

Il racconto su Ostia – anche in queste ore in cui i riflettori sono accesi – non tiene conto di chi quel luogo lo abita. Di conseguenza lo stesso discorso non può che valere per la presenza (o l’assenza) delle istituzioni, di un intervento o di un’azione delle classi dirigenti. È andata così anche per la manifestazione di sabato che non ha tenuto conto delle persone, ma soltanto delle reazioni e delle ritorsioni dell’opinione pubblica.

Mi spiego meglio. Come avviene in tutti i territori di mafia, anche a Ostia la cittadinanza è divisa in tre categorie: c’è chi in buona fede non ha ancora capito di avere a che fare con la mafia; chi l’ha capito e combatte o, più spesso, si chiude nel silenzio; chi è connivente con il sistema. Quest’ultima categoria poi ha mille sfaccettature perché essere conniventi può avere molti significati. Può voler dire pagare il pizzo, votare in un certo modo per avere protezione o tranquillità economica, prestarsi a manifestazioni di consenso verso chi comanda, essere a disposizione dei clan aspettando di essere chiamato a soddisfare un’esigenza o un affare delle mafie.

Invece il racconto pubblico tende a dividere tutto in buoni e cattivi. E se viene colpito un giornalista l’importante è dimostrare subito che a Ostia ci sono i “cittadini perbene” – cosa chiaramente vera – ma c’è la necessità studiata a tavolino di fare emergere questo assunto. Come se questa presunta difesa dell’immagine del territorio sia l’unica soluzione ai problemi. L’ha talmente capito la mafia che in passato ha addirittura contribuito fattivamente alla riuscita delle manifestazioni così da dare all’opinione pubblica quello che si aspettava e fare spegnere il prima possibile i riflettori. Della serie: “prima se ne vanno da Ostia e meglio è. Diamo un’immagine riappacificata e torniamo a farci i fatti i nostri”.

E purtroppo anche le istituzioni contribuiscono. Non faccio lo stupido ragionamento tipico di queste circostanze: i politici sono venuti a fare la sfilata e poi se ne vanno. Se viene convocata una manifestazione, è giusto che le istituzioni siano presenti. Quello che invece non va bene è che quelle stesse istituzioni siano sempre parte del problema e non rappresentino mai la soluzione.

La sindaca Raggi deve dire che cosa farà a Ostia. E ammettere che il suo Movimento non si è mai davvero opposto ad alcune degenerazioni del sistema. Ha difeso proprietari e gestori degli stabilimenti balneari che forse meritavano di essere attenzionati dalla magistratura e non ha mai preso le distanze dalle azioni di CasaPound. Che a Ostia non significa semplicemente non avere a che fare con i fascisti, ma anche e soprattutto porre una questione di trasparenza.

Si dice che Casapound distribuisce pacchi alimentari o che se manca l’acqua arriva con le cisterne. Invece di osannarli come esempio di nuova politica per come fanno welfare forse si dovrebbe chiedere dove prende i soldi per finanziare queste attività. Ci sarebbero delle sorprese interessanti. Strano che il M5S che fa della contabilità la cifra del proprio agire politico non abbia nulla da dire. Strano anche che nonostante alcune inchieste giornalistiche nessuno ne parli nei programmi televisivi che invece stanno facendo un’opera di legittimazione politica dei neofascisti.

Le cose sono complesse e come tali vanno affrontate se vogliamo capire che succede a Ostia. Qualche anno fa con l’associazione daSud manifestammo a Reggio Calabria con uno striscione che diceva “la ‘ndrangheta è viva e marcia insieme a noi”. Un modo per dire apertamente che purtroppo a quel corteo antimafia c’erano pezzi di ‘ndrangheta.

Anche Reggio Calabria, primo comune capoluogo commissariato per mafia e con una storia molto più antica di Ostia dal punto di vista della presenza criminale, fatica purtroppo a riconoscere il bene e il male. Non può che essere così anche a Ostia. Qui i cittadini onesti hanno bisogno di tempo, di supporto e della serietà delle istituzioni e dei media. Io non sono nessuno, sono solo una parlamentare che sta in commissione Antimafia che ha seguito con impegno e passione la vicenda di Ostia, forse perché purtroppo le ricorda tanto la sua città di origine, appunto Reggio Calabria.

Proprio per questo tuttavia penso debba assumermi la responsabilità della scelta. E per questa ragione – non certo per questioni legate alle bandiere – ho deciso di non partecipare alla manifestazione di sabato e di non invitare a votare il M5S al ballottaggio come altri nella Sinistra hanno fatto. Purtroppo non ci sono ancora le condizioni per esprime un voto libero e democratico. Interrompere il commissariamento è stato un errore.

Sarò invece oggi alla manifestazione convocata da Libera e la Federazione stampa italiana perché quell’iniziativa si propone una cosa semplice e più onesta: esprimere solidarietà a un giornalista aggredito e dire alla società di Ostia “ci siamo”, possiamo darvi una mano.

Perché, vedete, in questi anni in cui Sciascia è stato utilizzato per screditare il movimento antimafia, di professionismo dell’antimafia ci sarebbe bisogno come il pane. Ci sarebbe bisogno di persone che facciano meno gli eroi e i personaggi e siano più rigorose e consapevoli della posta in gioco, che siano più preoccupate a raccontare e meno a raccontarsi o specchiarsi e che possano suggerire strumenti utili e concreti ai cittadini onesti che vogliono uscire dal ricatto mafioso. Libera e daSud sono realtà che questo percorso provano a farlo ogni giorno ed io oggi sarò in piazza insieme a loro.

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Franceschini mandi ispettori presso la Sovrintendenza a Crotone. Lo stop incarico all’archeologa Margherita Corrado è un abuso

PUNTA SCIFO

Per le sue battaglie per la legalità, per proteggere le bellezze archeologiche della Calabria le viene impedito di lavorare. E’ infatti grazie allo studio e alla denuncia pubblica dell’archeologa calabrese Margherita Corrado, e della sua associazione, che è stato fermato l’ecomostro con vista su una delle baie più incantevoli dello Ionio: Punta Scifo in provincia di Crotone. Una denuncia che ha messo nei guai il Soprintendente Mario Pagano che l’ha querelata per diffamazione presso la procura di Torre Annunziata e messa al bando con una lettera indirizzata al Ministero, ai funzionari archeologi e a tutti i tecnici di Cosenza, Catanzaro e Crotone affinché non riceva più incarichi professionali. Un vero e proprio abuso. Franceschini intervenga.

Con la mia interrogazione sollecito il Ministro Franceschini a promuovere un’ispezione presso la Soprintendenza di Crotone per dirimere un contenzioso che rischia di squalificare il lavoro svolto finora dai professionisti che hanno lavorato sul caso.

E’ grazie alla denuncia della Corrado e alla mobilitazione di associazioni ambientaliste locali e della cittadinanza, che la Procura ha bloccato questo ennesimo scempio edilizio in Calabria.
Il rischio però è che ci sia un’accelerazione dei lavori, come richiesto dall’avvocato Domenico Grande Aracri, fratello di Nicolino al vertice della cosca di Cutro implicato nell’operazione Aemilia condotta dalla direzione distrettuale antimafia di Bologna, che difende i costruttori nella battaglia contro i vincoli paesaggistici. Ora questo editto potrebbe avere conseguenze pesanti per l’archeologa che ha svelato la storia di questo ordinario scempio calabrese. Sarebbe una vera e propria beffa visto l’impegno speso dall’archeologa per salvare uno degli ultimi angoli incontaminati della Calabria, conclude Costantino.

Al link l’interrogazione: http://www.celestecostantino.it/lanatema-della-sovrintendenza-calabrese-contro-larcheologa-che-ha-salvato-punta-scifo-la-riformulazione-di-una-vecchia-interrogazione-a-cui-il-ministero-non-ha-ancora-dato-risposte/

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La verità sul Cara di Crotone

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Ho denunciato per anni la gestione del Cara di Isola Caporizzuto, prima da giovane attivista poi da parlamentare. Ho fatto sit in davanti al Sant’Anna, ho fatto ispezioni a sorpresa, presentato interrogazioni e chiesto audizioni in antimafia.
Per una volta mi sento di dire che la politica non ha aspettato la magistratura. Troppe cose non andavano nel centro fra i più grandi d’Europa. Dalla condizione in cui versavano i migranti alla gestione economica. Dalla mancanza di trasparenza alla morte di un ragazzo.
Eppure davanti a tutte queste sollecitazioni la risposta era sempre la stessa. Il Ministro Alfano, il Prefetto Morcone hanno sempre detto che era tutto in regola. Oggi dopo un bliz anti ‘ndrangheta condotto dal Procuratore Gratteri, finalmente arrivano 68 arresti alla cosca Arena di Crotone.
Tra questi ci sono anche il capo della Misericordia di Isola Caporizzuto e il parroco dello stesso paese, la cooperativa che da sempre è stata l’unica a poter gestire il centro.
Certo, sono molto felice che sia stata svelata questa trama ma non posso non rammaricarmi del ritardo con cui si è arrivati a svelarla.
Troppe persone hanno sofferto e per una volta non nel silenzio assordante. Movimenti, comitati, giornalisti, partiti politici hanno denunciato più volte e sono rimasti inascoltati. Diciamo sempre che nella lotta alle mafie ognuno deve fare la propria parte. C’è chi l’ha fatta e c’è chi invece si è voltato più volte dall’altra parte.
Oggi tutti possiamo guardare nella stessa direzione.
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Un grande cambiamento per il trattamento dei testimoni di giustizia

testimoniPer molti anni il coraggio e il senso civico di tanti uomini e tante donne di questo paese non sono stati ripagati come sarebbe stato giusto fare.

Imprenditori che hanno denunciato, semplici cittadini che hanno assistito ad un reato, sono rimasti spesso soli, a volte trattati dal senso comune come pentiti, proprio perché la legge regolamentava le loro collaborazioni allo stesso modo. Hanno vissuto con pochi euro al mese, alcuni coi pacchi alimentari della Caritas, alcuni hanno dovuto affrontare processi senza le adeguate misure di sicurezza.
Hanno vissuto e vivono nella paura. Per sé e per i propri familiari.

Le audizioni e il lavoro svolto in commissione antimafia, che ha consentito di approvare nell’ottobre 2014 una relazione sulla revisione del sistema di protezione dei testimoni di giustizia, ci hanno reso un quadro chiaro. Il decreto legge n. 8 del 1991, con cui dal 2001, oltre ai collaboratori, veniva normato il trattamento dei testimoni, si è dimostrato insufficiente, se non addirittura si ingiusto. I testimoni hanno pagato con isolamento geografico e sociale, perdendo il proprio lavoro e a volte le proprie case, hanno assistito a disparità di trattamento economico tra testimoni, a una burocrazia farraginosa e dannosa che spesso, basti guardate molte testimonianze, li ha fatti pentire di aver denunciato. Eppure le loro testimonianze sono state fondamentali per la giustizia italiana. Grazie a loro negli ultimi anni sono stati inferti duri colpi alla criminalità organizzata e alla criminalità in generale. Il loro aiuto è stato fondamentale e oltre che ringraziarli per questo, possiamo finalmente, con questa nuova legge che modifica il DL 1991 e alcune parti del codice penale, definire una disciplina organica specifica in tale settore.

Adottando ad esempio apposite disposizioni per i minori compresi nelle speciali misure di protezione; applicando le norme, anche ai soggetti che risultano esposti a grave, attuale e concreto pericolo a causa del rapporto di stabile convivenza o delle relazioni intrattenute con i testimoni di giustizia. Garantendo la permanenza nella località di origine e la prosecuzione delle attività che lì svolgono.

Le misure del trasferimento nella località protetta, l’uso di documenti di copertura e il cambiamento di generalità sono adottate invece eccezionalmente, quando le altre forme di tutela risultano assolutamente inadeguate rispetto alla gravità e all’attualità del pericolo, e devono comunque tendere a riprodurre le precedenti condizioni di vita, tenuto conto delle valutazioni espresse dalle competenti autorità giudiziarie e di pubblica sicurezza. In ogni caso, al testimone di giustizia e agli altri protetti è assicurata un’esistenza dignitosa.

Inoltre, con questa legge lo Stato potrà acquisire il suo patrimonio, dietro corresponsione dell’equivalente in denaro secondo il valore di mercato, dei beni immobili di proprietà del testimone di giustizia e degli altri protetti, se le speciali misure di tutela prevedono il loro definitivo trasferimento in un’altra località e se la vendita nel libero mercato non si è rivelata possibile. Ma soprattutto garantirà fattivo sostegno alle imprese dei protetti che abbiano subìto o che possano concretamente subire danni a causa delle loro dichiarazioni o dell’applicazione delle speciali misure di tutela.

Altre misure che convincono che questo provvedimento possa incidere positivamente sulla vita di chi diventa testimone di giustizia è l’eventuale assegnazione in uso di beni nella disponibilità dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata e l’accesso a mutui agevolati volti al reinserimento nella vita economica e sociale sulla base di convenzioni stipulate tra il Ministero dell’interno e gli istituti di credito.

E poi tempi certi, valutazione dei casi secondo criteri specifici e sistematizzati.

Insomma e mi avvio a concludere, un provvedimento di cui c’era bisogno e che Sinistra Italiana ha contribuito a migliorare.

In Commissione giustizia sono passati 2 emendamenti e 1 sub. All’articolo 19, in seguito ad audizione del Procuratore della Repubblica del Tribunale di Palermo, abbiamo integrato la norma che spetta a chi commette calunnia aggravata rispetto alla possibilità di usufruire del trattamento per testimoni, per cui aggiungiamo a “usufruire” anche “o di continuare ad usufruire”, perché non è che smettano di punto in bianco di aver bisogno del trattamento testimoni.

Abbiamo soppresso l’articolo 21 che prevedeva il cambio di generalità allargato. Infatti potrebbero rendere false dichiarazioni anche parenti dei mafiosi, che sono stati magari anche loro mafiosi, e che potrebbero scegliere, rendendo false dichiarazioni dissociative, di vivere alle spalle dello Stato in modo facile e senza impegno testimoniale.

Concludo. Siamo orgogliosi di questo lavoro e di tutte quelle misure che in questi anni abbiamo contribuito a costruire nel contrasto del fenomeno mafioso.

Per tutti questi motivi voteremo a favore di questo provvedimento.