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Il Pd festeggia. Ma è un giorno triste per la scuola pubblica

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Il Pd festeggia in aula l’approvazione della riforma della scuola. Per me questo passaggio parlamentare è il più doloroso che ho dovuto sostenere dall’inizio della legislatura.

La scuola è la principale istituzione che traccia un modello di società: fino ad adesso vantavamo una scuola giusta, sicuramente con alcuni problemi da risolvere, che però metteva tutte e tutti nelle condizioni di avere accesso al sapere indipendentemente dalla classe sociale e dalla collocazione geografica.

Vantavamo una scuola laica e pubblica, in cui la libertà di insegnamento permetteva la possibilità di maturare un pensiero critico. Io ad esempio, figlia di un ferroviere e di una casalinga, nata e cresciuta in un quartiere periferico di Reggio Calabria, ho avuto una formazione di alta qualità, la stessa di coloro che provenivano da famiglie agiate dei migliori quartiere di qualsiasi città del nord.

Per i miei figli, per i miei nipoti avrei voluto esattamente questo.

Oggi invece il Pd realizza il modello aziendalista ed elitario che non era riuscito a costruire il Governo Berlusconi.

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Il Pd ha fretta su tutto, dalla scuola alle riforme, meno che sul conflitto d’interesse

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Ennesimo nulla di fatto sul conflitto di interessi. La riunione del comitato ristretto, istituito con l’obiettivo di accelerare i tempi di un provvedimento che questo Paese aspetta da troppi anni, si è chiusa con un altro rinvio. Questo strumento parlamentare si è trasformato nel suo esatto opposto.

Da mesi il Pd prende in giro Sel e il M5S, le due forze politiche che più di tutte stanno insistendo per riuscire a discutere e approvare questa norma. Rinvii, rallentamenti, mediazioni ipotizzate e sintesi invocate, mai un atto concreto su cui confrontarci. Prima ci hanno chiesto di esprimerci su uno schema di dieci punti per individuare le questioni, poi c’è stato chiesto di depositare la nostra definizione di conflitto di interesse. Insomma tutto pur di rallentare e impedire che la commissione affronti la questione. Il Partito Democratico che ha fretta su tutto, dalla scuola alle riforme costituzionali, di questo provvedimento non ne vuole sentire parlare. Non sarà che verrà usato come scalpo per il nuovo accordo con Forza Italia?

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Il Governo e la maggioranza non vogliono introdurre il reato di tortura. Continui rimpalli tra Camera e Senato, mentre l’unico a vincere è il Sap

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Il prossimo 25 settembre saranno passati esattamente dieci anni dalla morte di Federico Aldrovandi, studente ucciso da quattro poliziotti per “eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi” dice la Cassazione. In una sola parola dovremmo dire che si tratta di tortura, reato che finora non ha fatto parte del nostro codice penale.

Le storie del massacro della Diaz, delle violenze di Bolzaneto, dell’accanimento delle forze dell’ordine su Stefano Cucchi, Giuseppe Uva e purtroppo tanti altri per cui abbiamo chiesto l’istituzione di una commissione ad hoc in Parlamento. Qualche mese fa sembrava di essere finalmente vicini al recepimento della Convenzione Onu che definisce il delitto di tortura un reato proprio del pubblico ufficiale, con circa 30 anni di ritardo. Un testo nato da una mediazione, che non ci ha mai soddisfatto completamente, ma che rappresentava un primo passo per il riconoscimento di questo delitto.

Ma il testo che abbiamo rinviato al Senato è stato nuovamente cambiato, con l’annullamento di tutte le modifiche fatte a Montecitorio.

Siamo davanti ad un continuo rimpallo che mette a rischio la legge. Ma non solo. Le aggravanti per il reato di tortura commesso da pubblico ufficiale sono state abbassate; sono sparite le finalità per definire meglio la fattispecie e cancellata la locuzione “per vincere una resistenza”. Insomma tutte le modifiche che ha dettato il Sap, sindacato di polizia, sceso in piazza con Salvini. È inconcepibile che questa maggioranza non ripari a questa vergogna. O forse siamo davanti alla vera essenza di questo Governo Renzi-Alfano.