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Tor Pignattara, la solidarietà al rovescio non è una novità. Purtroppo

Non è una novità. E non è la prima volta che assistiamo a fenomeni di solidarietà al rovescio. L’opinione pubblica nazionale si è già ritrovata a raccontare questi cortocircuiti sociali magari banalizzando e semplificando ma fornendo comunque delle coordinate: disagio, povertà, razzismo, mafia. Attribuirli in passato al Mezzogiorno arretrato e compromesso è stato più facile; nella Capitale d’Italia oggi diventa esercizio più faticoso e per certi versi meglio così se lo sforzo può portare ad avvicinarci di più alla verità.

Per troppo tempo gli applausi e i cortei in difesa dei criminali sono stati classificati come “malcostume delinquenziale” del Sud. Quante volte a Reggio Calabria, come a Napoli e Palermo, ci si è inorriditi davanti al grido “uno di noi”, quando l’uno – appunto – si era macchiato di un crimine e il “noi” era la comunità che lo proteggeva.

La comunità in questo caso è quella di Tor Pignattara, un quartiere abbandonato, lasciato all’incuria. Un quartiere senza mezzi pubblici, attraversato solamente dal trenino a rotaia della Casilina e dal 105 sempre strapieno, non solo nelle ore di punta. Una borgata sempre in piena “emergenza” rifiuti. Un rione in cui chiudono i negozi ma pullulano nuove sale slot e bingo. Alle prese con il ritorno prepotente dell’eroina, della disperazione, dello spaccio. Dove a fatica operano i centri di aggregazione, e insufficienti sono i servizi e le politiche di integrazione.

Qualche notte fa – in una delle vie di Tor Pignattara – Khan, giovane pakistano di 28 anni senza fissa dimora, è stato pestato a morte da Daniel, ragazzino di 17 anni. È solo l’ultimo avvenimento in ordine temporale di una escalation di violenza che in queste settimane sta infiammando un’area sempre pià grande, che va dal Pigneto a Centocelle.

Ieri quattrocento persone – parenti, amici e conoscenti di Daniel – hanno sfilato in corteo per le vie del quartiere romano. Con striscioni e slogan di solidarietà per il giovane e la sua famiglia, in vista dell’udienza di oggi al tribunale dei minori. “Una disgrazia non ti priverà della libertà”, “No razzismo, no diversità”, e una svastica fintamente coperta da un segno di divieto disegnato con lo spray.

Li guardo dalla finestra con un’amarezza che già conosco, la stessa che provo davanti ai cartelli “uno di noi”. Nessun giudizio di merito sui fatti di quella notte, che saranno accertati dalle autorità competenti. Ma la confusione è tanta, anche in questi segnali di solidarietà al rovescio, dove in uno stesso striscione possono convivere sia “no razzismo” che “no diversità”. Ciò fa ancora più male considerando che nel luogo dove Khan è stato ucciso a mani nude non c’è nemmeno un fiore.

Dobbiamo lottare anche contro questa arretratezza culturale, fatta di violenza, prepotenza ed ignoranza. La stessa che porta molti a credere che a Roma non ci sia criminalità organizzata o che esistano mafie buone che, in questa crisi, danno da mangiare a tutti.

La politica, a tutti i livelli, deve mettere al centro la cura delle nostre strade, delle scuole, deve investire sui servizi pubblici, creare nuove opportunità di lavoro e non lasciare che la criminalità alimenti il suo welfare distorto.

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